Lettera di un medico ad uno studente di Medicina

Consigli

Carissima/o,
Ti scrivo questa lettera per avere conforto e, forse, per dartene quando sarai al mio posto.
Ci separano pochi anni all’anagrafe e per questo motivo, al momento, mi trovo seduto dietro una scrivania ad aspettare che arrivino le 8 e mezza e aprire la porta dell’ambulatorio del medico che sostituisco. Fino a ieri ero un numero di matricola universitaria come te e, in tutta onestà, non é cambiato molto.

Eccone un altro che fa il figo con il timbro e le ricette, penserai, e invece io son qui a scriverti perché sono terrorizzato.

Tra mezz’ora da quella porta entrerà della gente vera, che mi chiederà cose, senza nemmeno avere la cortesia di entrare dicendomi a quale capitolo del libro di interna appartengono, capisci? Questi non arrivano dicendo “Salve, piacere, paziente endocrinologico con intolleranza al caldo, tachicardia sinusale, tachilalia, iniziale esoftalmo”, no no, questi arrivano dicendo “mi sento stanca”“sento un fastidio qui dietro” o ancora peggio “mi fa quel certificato INAIL?”.

Io credo non aprirò quella porta, adesso mi barrico dentro, ci metto l’armadio davanti. Voglio vedere se riescono ad entrare, a siringate li prendo se bussano.

Comunque, anche se risulta molto filosofico il passaggio dal paziente in potenza al paziente in atto, la presa di responsabilità, l’etica ippocratica eccetera eccetera, rimane il fatto che mi sembra di aver saltato un qualche passaggio. Candidamente ammetto di essere del tutto impreparato alla vita reale, perché quella dello studio era così geometricamente chiara, aveva un limite oltre al quale gli imprevisti non si spingevano, non era caotica e soprattutto aveva delle risposte. Adesso no, o per lo meno, io non ne ho neanche l’ombra di una.

E questi che entrano, credo, che le vorranno delle risposte.

La mia prima sostituzione si é svolta in una mattina che ho passato ad essere vago. Salvarmi in corner con risposte del tipo “si certo prenda questo e torni tra tre giorni” ovvero quando io la sostituzione l’ho finita, auscultare toraci con una voce nel mio stetoscopio che diceva “e se ci fosse un ronchetto che non senti? Eh? Come va a finire? Qui non c’è lo strutturato che ti copre!”Vorrei sentirmi dire, cara amica o caro amico, che non è colpa del tutto mia, che gli esami non li ho passati tutti a forza di botte di fortuna e mo’ devo ristudiare tutto.

Qui ci sono persone che entrano e mi chiamano dottore con l’idea che io sappia cosa non va in loro, mi guardano e io li guardo. Ci guardiamo.

Mi rispettano perché ho il camice, perché sorrido, perché sono molto scrupoloso quando provo la pressione anche se hanno un occhio rosso.

E invece no, io la pressione te la provo perché prendo tempo, diamine! Perché nel frattempo sto pensando che a oculistica avevo studiato meglio il femtolaser ma che ora come ora devo tirar fuori il nome di un collirio, e il collirio giusto! Perché quando pensieroso e serio guardo lo schermo del computer non è perché sto scegliendo il medicamento migliore, no! Sto fingendo! Io sto guardando il foglietto illustrativo, capisci? Tu caro il mio sessantenne con la pressione sei il primo a cui ho prescritto del Ramipril, il primo, e magari tu ti immaginavi che per me fosse cosa normale e invece no, tu ora hai una terapia antipertensiva per decisione mia, di un tizio di venticinque anni che ancora deve capire come funziona la dichiarazione dei redditi! A te ragazza a cui ho detto “non preoccuparti” per quel male alla spalla, tu sei uscita che davvero sembravi non preoccupata! Ma davvero ti sei fidata così? Ma se io non mi fido di me! Stolti!

Calma. Mi calmo, ti chiedo scusa. Sono le 8 e 30 e sento delle voci in sala d’aspetto.

Devo andare ad aprire, non posso fuggire dalla finestra. Voglio fare il medico da grande, un medico serio e quindi ora mi calmo e smetto di scrivere sproloqui. Forse tu sarai più pronta, forse tu sarai più attento, ma nel caso anche tu ti sentirai come un branzino alla partenza dei 110 ostacoli, ricordati che non sei sola/o.

Un abbraccio forte,

Francesco

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